Nel corso della storia la pelle, by-product dell’industria alimentare, ha sempre avuto un fascino di tendenza. Vogliamo proporvi un piccolo viaggio virtuale per scoprire insieme in che modo l’uso di questo materiale si è evoluto nel tempo e nei costumi: dall’alta moda allo street fashion, dagli anni ’30 ai giorni nostri, verso sempre una maggiore consapevolezza ambientale.

GLI ANNI ’30 e ’40

Gli anni del cinema sonoro, dello swing, del proibizionismo, ma anche delle gonne longuette, delle pellicce e degli scolli sulla schiena: gli anni Trenta sono glamour ed eleganti. La guerra, tuttavia, fa da spartiacque anche nel settore moda.

Durante il secondo conflitto mondiale gli abiti femminili furono caratterizzati più che altro dalla funzionalità (dai tailleur agli ormai sdoganati pantaloni, per sostituire in comodità gli uomini al fronte) e dal risparmio, in uno stile spesso sobrio e misurato. La moda femminile si semplificò anche per la mancanza di tessuto, lana e cuoio, che venivano impiegati per l’esercito e la sua attrezzatura: iconiche le foto di quel tempo in cui le donne, in mancanza di collant, si dipingono il retro delle gambe con una matita per simularne la cucitura, in particolar modo dopo che le produzioni nazionali di nylon vennero completamente convertite per la produzione di funi da traino, giubbotti antiproiettile, lacci delle scarpe, zanzariere e paracadute.

Sono questi gli anni della creatività di Salvatore Ferragamo, il “calzolaio delle stelle” che dall’Italia centrale diventa punto di riferimento per molte star del cinema hollywoodiano. Se le penurie della guerra resero scarse le materie prime, tra cui il cuoio, l’inventiva e la ricerca di Ferragamo lo portarono a sperimentare materiali innovativi per le sue calzature, come la pelle di pesce, detta anche cuoio marino: un materiale che divenne una costante della sua produzione successiva e un must have delle dive del cinema di quegli anni. Ma non solo: Ferragamo fu anche il primo a brevettare la zeppa in sughero, nata nel periodo autarchico del fascismo per sostituire l’acciaio interno alle calzature, materiale importato dalla Germania e non più acquistabile a causa delle sanzioni economiche imposte all’Italia. È quel che si dice riuscire a far di necessità virtù: le pionieristiche intuizioni di Ferragamo sembrano accumunare la sua ricerca di materiali naturali, di riciclo e innovativi, alle più recenti sperimentazioni in ambito green, mossi entrambi dalla volontà di rispondere ad una necessità esterna, seppur di natura diversa.

DAL DOPOGUERRA AL NUOVO MILLENNIO

Dal giubbotto di pelle degli anni ’50, detto “chiodo” – simbolo del fascino ribelle portato alla ribalta dal cinema hollywoodiano – passando per le linee geometriche e i capi avanguardistici della space age degli anni ’60 – spesso in metallo, plastica, pelle e vitello laminato (come non ricordare Paco Rabanne, con il suo french coat in maglia e triangoli di pelle del 1966?) – fino ad arrivare al camoscio della giacca sahariana tipica degli anni ’70 e agli anfibi Dr. Martens, rigorosamente neri, del movimento grunge degli anni ’90: il dopoguerra dà il via a un periodo di fervore nel mondo della moda anche per quel che riguarda l’uso creativo della pelle.

Ma, come spesso accade, la moda si rivela essere lo specchio semantico della società del tempo. Se il benessere generalizzato e l’industrializzazione crescente di questi anni spiana la strada a quella che viene definita “la società dei consumi” e alle sue – ben note – conseguenze, a partire dagli anni ’90 si sviluppa una nuova consapevolezza sui temi ecologici e sull’impatto che le azioni umane hanno sull’ambiente: nasce il concetto di “sviluppo sostenibile”, termine coniato nell’87 e che da quel momento inizia a radicarsi sempre più non solo nell’opinione pubblica, ma anche nel settore moda e, dunque, nella pelletteria.

Dopo primi anni 2000 la pelle è rimasta negli anni un elemento di tendenza in tutte le correnti di stile che si sono susseguite – dagli stivali cuissardes, ai pantaloni in pelle nera di Lenny Kravitz, alla borsa-marsupio Marmont di Gucci – ma se volessimo trovare un fattore comune alla “moda del nuovo millennio” sarebbe sicuramente la ricerca di una sempre maggiore compatibilità tra produzione e salvaguardia dell’ambiente. Più attenzione all’impatto ambientale dei processi produttivi, ricerca e impiego di materiali alternativi a quelli più inquinanti, maggiore impegno in iniziative di recupero e riciclo delle materie prime: sono queste le nuove virtuose costanti in fatto di moda.

Nel nuovo millennio, l’attributo più importante delle borse – di qualsiasi tipo e misura – diventa quello della sostenibilità: non più soltanto accessorio di stile, ma anche mezzo e simbolo di una nuova consapevolezza e di una sempre più imprescindibile attenzione all’ambiente.